Businessman at Card Table
Nessun Paese sembra immune alla febbre dell’azzardo, e nessun governo rifiuta più di partecipare a un giro d’affari, calcolando che, ad esempio, con il fatturato del gioco in Italia del 2012 si sarebbe potuta salvare la Grecia!

Più euro = più guai
Parallelamente, però, cominciano i problemi. In Inghilterra, per esempio, due ragazzi su tre sono giocatori di lotterie istantanee (pur essendo il gioco vietato ai minorenni), come ha segnalato il quotidiano “The Independent”. Alla denuncia si associa Emmanuel Moran, responsabile del Comitato nazionale britannico per il gioco d’azzardo:«Vendere biglietti del gratta- e-vinci ai minorenni», dice, «finirà per produrre adulti dipendenti dal gioco».  Alcune persone, poi, sarebbero particolarmente esposte a questo rischio: sembra che sia la carenza di un certo ormone, la noradrenalina, a indurre alla ricerca di emozioni forti, come quelle date dal gioco.
Che poi la sindrome del giocatore patologico sia analoga all’alcolismo ormai è riconosciuto da psichiatri e psicologi di tutto il mondo. Ed è anche una malattia piuttosto strana, come ha scoperto la psicologa Lucia Giossi, dell’università Cattolica di Milano: «Il giocatore, anche se sostiene di voler vincere, in realtà gioca per perdere. Gioca per raccontarsi nelle sue perdite». Lo confermano due ricercatori dell’università dell’Illinois, Charles Warren e Bruce McDonough, che hanno sottoposto a elettroencefalogramma alcuni giocatori compulsivi. «Nei giocatori normali i “picchi” di attività cerebrale si hanno dopo le vincite, in quelli compulsivi succede il contrario: appena vincono, l’attività cerebrale declina», dice Warren. Come uscire, dunque, dal “tunnel” del gioco patologico? Farmaci non ce ne sono, ma all’estero esistono organizzazioni specializzate, come i Gamblers anonymous (simile agli Alcolisti anonimi) negli Usa, o Sos Jouers in Francia. E in Germania ci sono 80 centri di disintossicazione, in genere presso i reparti psichiatrici degli ospedali.

Dipendenza.
Il “mal d’ azzardo”, comunque, colpirebbe in forme più o meno gravi soltanto il 5 per cento dei giocatori abituali. Gli altri sono persone perfettamente razionali, pur essendo disposte di tanto in tanto a compiere un atto contrario alla logica: ogni gioco, infatti, è studiato per far perdere la maggioranza dei giocatori. A dirlo è la teoria delle probabilità, nata nel Seicento dagli studi del matematico Blaise Pascal, proprio per calcolare i rischi del gioco e le tecniche per vincere. Vediamo a quali conclusioni è arrivata, dopo trecento anni.

– Così si vince
«Il sistema più semplice e più conosciuto è quello del raddoppio, che si può usare con tutti i giochi che danno due possibilità, per esempio rosso e nero alla roulette», spiega Giorgio Dall’Aglio, docente di Statistica all’università La Sapienza di Roma. «Si parte puntando mille lire sul rosso: se si vince si smette, altrimenti si continua puntando una posta doppia, e così via. I problemi? Si deve avere un capitale illimitato, perché se per esempio il rosso non esce per 21 volte consecutive, alla ventiduesima volta si deve puntare più di un miliardo ». E la vincita finale, tenendo conto delle perdite precedenti, rimane di sole mille lire, quindi per accumulare una grossa cifra si deve disporre anche di una vita illimitata.
I ritardi non pagano.
Poi c’è il sistema dei ritardi, notissimo agli appassionati del lotto. Consiste nel puntare sui numeri che non escono da molte settimane, contando sul fatto che prima o poi dovranno uscire per forza. «Eh no! Chi la pensa così non conosce la statistica», spiega Domenico Costantini, studioso di Teoria delle probabilità all’università di Genova. «E’ vero, infatti, che è molto improbabile che un numero, diciamo il 13, non esca per cento settimane. Però non è vero che la centounesima settimana abbia maggiori probabilità di essere estratto ». Perché? «Perché, come si dice, “la sorte non ha memoria”. La statistica richiede che le 100 settimane siano scelte a caso. Se si prendono proprio quelle in cui il 13 è mancato, la probabilità è “condizionata”: di conseguenza le formule cambiano, e danno per la centounesima settimana una probabilità che esca il 13 identica a quella che si aveva la prima settimana».
Non frazionate le giocate.
Un altro consiglio che arriva dalla statistica è quello di non frazionare le giocate. «Se, per esempio, si vogliono raddoppiare centomila lire alla roulette, conviene puntare tutto sul rosso (o sul nero). Le probabilità di vincere sono circa 49 su 100, un po’ meno della metà perché c’è anche lo zero. Puntando invece 10 mila lire per volta, le probabilità diventano 37 su 100, e in media l’obiettivo si raggiunge in 98 puntate », spiega Dall’Aglio. Il fatto che la puntata secca appaia più rischiosa è solo la dimostrazione di quanto poco affidabile sia il “buonsenso” avendo che fare con l’azzardo.
Sfruttare la psicologia.
Una volta capito questo, si può anche cercare di sfruttare la psicologia della maggioranza. Per esempio in lotterie come quella ideata dallo Stato Usa del Massachusetts. Ogni settimana si estraeva un numero di quattro cifre, e il montepremi veniva diviso tra chi lo indovinava: uno studio statistico ha dimostrato che i numeri vicini a 0000 e 9999 venivano giocati raramente. E se uscivano pagavano di più, pur essendo egualmente probabili.

– Danno all’economia
«Il modo migliore di vincere è quello di non giocare », dice Costantini. Ma allora come si spiega il crescente successo in tutto il mondo delle lotterie e delle scommesse? In genere chi gioca lo fa perché desidera vivere in una dimensione irrazionale: il gioco d’azzardo è una classica situazione di scelta in condizioni di incertezza, perché il giocatore non ha informazioni sufficienti e deve quindi basarsi su elementi irrazionali. Questo bisogno di irrazionalità può addirittura danneggiare una nazione, se supera un certo livello. In Inghilterra, per esempio, nel corso del 1995 sono stati dirottati sulla lotteria 5 miliardi di sterline, più di quanto gli inglesi spendono in un anno in libri, o in pane. Secondo stime dell’economista David Mackie, un simile investimento in attività improduttive ha rallentato la crescita economica di mezzo punto percentuale.

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